Essere uno stylist, oggi, non significa avere a che fare solo con capi e accessori. Vuol dire essere in grado di comunicare l’estetica, lo stile, ma anche i valori e i sentimenti di una determinata persona tramite il look, che si tratti di un musicista, uno sportivo, un attore: di chiunque abbia voglia che il modo in cui ci si presenta al pubblico parli al suo posto. E la stylist Ramona Tabita sa bene come unire tra di loro questi vari elementi per tradurli, poi, in una lingua universale: la moda.

Nata in Sicilia nel 1988, Ramona Tabita è, a oggi, una delle stylist più affermate del nostro Paese. Ha lavorato per celebrità come Ghali, Mariacarla Boscono, Simona Tabasco ed Elodie, seguendoli nelle manifestazioni più celebri, curato lo stile di progetti come #DGDNA di Dolce&Gabbana, l’album NOI, LORO, GLI ALTRI di Marracash ed editoriali delle più importanti riviste di moda. Inoltre, è Fashion Director del magazine indipendente STUDIO XYZ. Il tutto ha però avuto inizio a Roma, dove da appena maggiorenne si è trasferita per studiare arte in Accademia e provare a realizzare un sogno.

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Sono sempre stata un’appassionata di moda, e ai tempi dell’Accademia delle Belle Arti credevo che avrei fatto la fotografa. Ora, a guardare indietro, tanti dei miei amici o famigliari mi fanno notare che fin da bambina mi piaceva dar loro consigli su cosa indossare, o disegnare schizzi di abiti. Da adolescente, poi, ho iniziato a collezionare magazine di settore e, di conseguenza, a osservare i servizi fotografici. Sapevo di voler far parte di quella magia, ma non immaginavo che avrei potuto farlo tramite lo styling.

Come hai iniziato a muovere i primi passi all’interno di questo settore?

Un mio amico di base a Milano mi aveva detto che la NABA, Nuova Accademia di Belle Arti aveva in palio una borsa di studio per il Master in Fashion and Textile Design, e mi ha spinto a mandare la candidatura attraverso le mie foto. Sono stata selezionata come vincitrice e da quel momento ho iniziato a creare la mia rete di contatti. Col senno di poi mi sono resa conto che ho sempre fatto la stylist quasi involontariamente, senza rendermene conto: da studentessa collezionavo vestiti per realizzare i servizi fotografici, scattavo con la fotocamera analogica e, più di ogni cosa, amavo creare una storia, un immaginario dietro a quelle foto. La moda, in altre parole, è sempre stata il linguaggio attraverso cui mi esprimevo. Quando ero a Roma ho iniziato a scrivere per dei piccoli magazine di settore, una volta a Milano ho iniziato a collaborare con Vogue Italia e ad avere i primi rapporti con i brand.

Le prime opportunità di styling, invece, come sono arrivate?

Il primo servizio l’ho realizzato per Vice: 15 anni fa ero molto attiva su Twitter (ora X), ed è così che sono entrata in contatto con loro. È stata la prima volta che mi sono accorta di quanto i social possano essere una vetrina per la creatività. Quando sei entrata nel mondo del celebrity styling si è parlato fin da subito del tuo modo di rivoluzionare lo stile degli artisti con cui hai lavorato e lavori.

Da cosa parti quando ti interfacci a un nuovo cliente?

Cerco sempre di entrare in empatia con la persona che ho davanti. Ho bisogno di capire chi è, chi è stata e dove vuole arrivare. Quando ho le risposte a queste tre domande, insieme iniziamo a porci il primo obiettivo. Non mi piace vedere il celebrity styling come un esercizio di stile, che invece funziona negli editoriali. Con una celebrity è importante che si crei armonia, solo così il risultato finale può funzionare. Un bell’esempio credo sia il look di Loewe che Ghali ha portato a Sanremo, dalla silhouette non canonica per un uomo. C’era un’armonia delle forme tale che è stata percepita anche dalle persone a cui non interessa la moda, e questa è stata una grande soddisfazione.

Che consiglio dai, di solito, ai giovani che sognano di intraprendere questo tipo di carriera?

Credo che per fare questo lavoro siano fondamentali tanto la sensibilità e la creatività quanto il metodo e l’organizzazione. L’amore per la mia professione mi ha fatto capire che il talento, da solo, non è abbastanza: serve anche tanta disciplina. Per di più, bisogna lavorare molto sulle pubbliche relazioni, farsi conoscere e mantenere i rapporti.

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